Black Sabbath "Sabbath Bloody Sabbath" (1973- Vertigo Records)

Se dischi come “Paranoid”, “Master of Reality” hanno ulteriormente raffinato e portato all’apice quanto di buono e creative era stato espresso con il primo album e soprattutto “Paranoid” può essere considerato uno degli albums più importanti in assoluto per lo sviluppo e la crescita dell’Heavy Metal e Heavy Rock, è con “Sabbath Bloody Sabbath” preceduto dal discontinuo “Vol.IV” che aperto di fatto una nuova fase della band di Birmingham, che il combo britannico capitanato dal baffuto italo-inglese Tony Iommi (qui infatti senza baffi)a portare la band ad un livello qualitativamente così alto non poter più essere eguagliato in futuro per questo stile e solo in parte toccato con il successivo e sottovalutato “Sabotage”, anche se saggiamente la band prenderà altre strade più Epiche e classicamente metalliche come vedremo in seguito. Il quinto album della band albionica è davvero il Sacro Graal dell’Heavy Rock o progenitore anche di un certo Metal Progressivo che verrà in futuro, tanto che è presente ospite in due brani e non a caso un certo Rick Wakeman degli iconici Prog Heroes Yes impegnati nell’astruso e dispersivo “Tales from the Topographic Ocean” per quanto coraggioso e affascinante, tanto che lo stesso Wakeman dirà che si divertiva più con i Sabbath che con gli Yes che lascerà infatti da lì a poco e consolidando un’amicizia durata nel tempo visto che il figlio Adam Wakeman suonerà non solo in tempi recenti dal vivo con la band e con Ozzy Osbourne, ma realizzerà anche un particolarissimo tributo alla band rendendo i loro brani più jazzy. In effetti un certo Jazz antico e bluesy vagamente reminescente del grande Joe Pass che Iommi amava particolarmente, sarà presente in alcuni passaggi suggestivi di alcuni brani come la magnifica title-track, un brano decisamente memorabile ricco di cambi tempo e dal ritornello appunto decisamente jazzy, un brano che Ozzy non riuscirà mai a rendere per bene dal vivo per via delle tonalità molte alte nelle strofe. Iommi amava molto “L’Esorcista” all’epoca appena uscito e divenuto uno dei più grandi Horror mai girati e già l’incredibile cover art in fronte e retro ci mostrano delle illustrazioni cinematografiche e suggestive realizzate dall’autore e illustratore di posters per films Drew Struzan chiaramante ispirate al capolavoro di Friedkin come atmosfera sia nel lato Satanico che Angelico ben rappresentato dalla pace raggiunta dal protagonista con la morte in un’atmosfera molto mistica. Inficiano un po’ il bellissimo e artistico risultato finale solo quelle S realizzate dal tipografo Geoff Halpin per i due Sabbath del titolo che sono in odore di pseudo-nazismo per la diretta connessione con le SS di hitleriana memoria che amavano questi caratatteri gotici e teutonici nel contempo. La cosa causerà qualche problema alla band soprattutto in terra germanica, ma tutto sommato il risultato visivo ne risulta ulteriormente arricchito dando adito a fantasiose interpretazioni e nulla più, poiché si sa bene del cristianesimo latente di tutti i membri della band ad eccezione forse di Bill Ward che ha sempre ammesso il suo amore per il lato oscuro a differenza di Geezer Butler che lo ha esorcizzato in tanti modi anche con i suoi side-projects anche estremamente Heavy come i GZR. L’album contiene gemme di rara bellezza come “A National Acrobat” e “Killing Yourself to Live” o la strumentale gentile e acustica“Fluff” e l’incredibile e davvero progressiva e sinfonica “Spiral Architect” (che darà il nome anche ad una cult Prog Metal band norvegese) dove la band risponde a chiare lettere a chi li criticava per una presunta scarsa raffinatezza. Altrettanto imperdibili le varie e più Rock’n’Roll oriented “Sabbra Cadabra”, “Looking for Today” dai toni ariosi e la quasi futuristica “Who are You” composta da Ozzy con un piccolo sintetizzatore. Un album perfetto e che non stanca mai, il picco della prima fase della band e forse in assoluto della loro intera e variegata discografia che fu composto sottopressione visto che dalla chitarra di Iommi sembrava non uscirà nulla di buono, finchè isolati in uno spettrale castello del Galles dove avevano registrato anche i compari Led Zeppelin e dove si avvertivano presenze spiritiche e fantasmatiche, all’improvviso a partire dal memorabile e epico riff della title-track fu composto di getto e come in un flusso improvviso di coscienza con la band non spaventata anche di sperimentare e a suonare strumenti che strimpellavano soltanto come Piano, Flauto e Mellotron. Un disco che mostra una volte per tutte tutto il talento compositivo di Tony Iommi vero e proprio motore creativo e musicale della band. Antonio Giorgio

Commenti