Judas Priest "Sad Wings of Destiny" (1976- Gull Records)

I Judas Priest rappresentano il perfetto anello di congiunzione tra quello che all’epoca si definiva ancora Heavy Rock o Hard Rock e l’allora nascente Heavy Metal, codificandone definitivamente il linguaggio e anche costruendo magari anche involontariamente dei cliché che sarebbero divenuti nel tempo dei veri e propri vessilli di guerra e simboli di appartenenza al genere di legioni di nuove bands a seguire fino ai giorni nostri e potremmo dire ormai per sempre. Molto importante anche la posizione nella storia del Metal della band di Birmingham, la stessa cupa città industriale dei padri Black Sabbath, esattamente a metà strada tra la band capitanata dall’italo-inglese Tony Iommi e le future stelle Iron Maiden del bassista leader Steve Harris. In effetti a ben vedere un album straordinario come questo secondo parto “Sad Wings of Destiny”, molto più focalizzato dell’ancora acerbo debutto non privo di meriti “Rocka Rolla”, può essere assolutamente considerato come non solo un capisaldo del Metal tutto, ma anche un notevole anticipatore delle evoluzioni che verranno da bands fondamentali per il suo sviluppo ulteriore come Iron Maiden e anche Queensryche per via delle trame chiaramente teatrali e a tratti sinfoniche e progressive. Già l’opener (che sarebbe dovuta essere anticipata dalla intro sinfonica “Prelude” originariamente posta dalla band in apertura e per sbaglio stampata negli States al centro dell’album perdendo di significato) “Victim of Changes” basato su un’interessante storia di una donna alcolizzata che perde il suo uomo in favore di un’altra donna più sobria a causa del suo vizio, mostra un Heavy Rock proto Metal devoto nel riff ai Led Zeppelin e Black Sabbath ma con dei momenti progressivi e teatrali grazie soprattutto allo straordinario cantanto bluesy e operistico nel contempo del talentuosissimo e allora giovane Robert Halford, al secolo Rob Halford, uno stile che sarà sapientemente fatto proprio dal primo Geoff Tate che lo evolverà in qualcosa di ancora più raffinato e tecnico, ma le origini stanno tutte qui. In generale tutto l’album è incredibilmente profetico in quanto a soluzione molto innovative per l’epoca, come certe armonizzazioni e melodie di chitarre in terzinato molto Rock e melodic/epic oriented che saranno riprese dalle altre future asce gemelle dei futuri eroi Iron Maiden. Gli arpeggi malinconici e le vocals espressive di Halford fanno volare composizioni dai tratti crepuscolari della doppia “Dreamer Deceiver/ Deceiver” sicuramente reminescente nel crescendo della storica “Child in Time”dei Deep Purple per via soprattutto degli incredibili falsetti finali alla Gillan di Halford, che mostra una varietà di toni e tonalità davvero notevole, passando da bassi molto profondi e molto teatrali da crooner a incredibili acuti o toni di mezzo incisivi e più aggressivi: uno dei cantanti più iconici di tutto il Metal stesso, clonato da numerisossimi epigoni e non sempre allo stesso livello per ovvi motivi. La minacciosa “The Ripper” nella sua brevità si afferma come essere uno degli highlight di sempre della band, chiaramente ispirata al padre dei serial-killer , Jack lo Squartatore e che darà il soprannome al futuro epigono di Halford e suo sostituto temporaneo Tim Owens detto appunto “The Ripper”. Riff oscuri e iommiani ma anche estremamente progressivi con un Halford che emerge tra le nebbie londinesi a caccia di vittime: un piccolo capolavoro all’interno di un album capolavoro. “Tyrant” ha una delle melodie più vinceti dell’album nel ritornello epico e tratta temi tipicamente Metal come quello orwelliano del controllo e della ribellione contro ogni forma di oppressione così come la seguente “Genocide” dall’atmosfera sempre epica e dark. Le conclusive “Epitaph”, altro pezzo sicuramente da retaggio progressivo e teatrale quasi alla Queen molto amati da Halford insieme al loro immenso singer Mercury, e la cupa “Island of Domination” chiudono un album epico e maestoso nella sua semplicità apparente e regale, baciato anche dalla più bella e evocativa cover art di sempre della band con un Angelo Caduto che indossa il loro simbolo come collana e attorniato da fiamme infernali e un paesaggio desolato, elementi decorativi ricorrenti nelle future cover art dei vari “Painkiller” e “Angel of Retribution” fino al recente “Redeemer of Steel” dove in effetti sembra di rivedere l’Angelo evolutosi in una nuova forma di Predicatore anticonvenzionale, un Prete “traditore” della Fede imposta appunto. Pietra miliare imprescindibile per ogni vero amante del nostro beneamato Metal o se volete Heavy Metal o come lo volete chiamare. Antonio Giorgio

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